Nun che vemm de sfroos

Rover e Scolta… Homo viator. Per decine di millenni l’homo sapiens è stato nomade e viandante. Seguivamo il ritmo delle stagioni e delle fioriture, inseguivamo la pista del daino e del bisonte, tornavamo assetati all’oasi e alla sorgente, esperti delle transumanze. Lo abbiamo fatto per sopravvivere, correvamo per fuggire alla morte. Poi, a un certo punto, in quel territorio solcato e segnato dai soli tempi naturali della vita, abbiamo iniziato a scoprire spazi diversi, a riconoscere luoghi speciali; e abbiamo iniziato a segnare rocce, a erigere steli, costruire altari. Nacque il sacro. Lungo le antiche piste iniziammo così a fermarci non solo per raccogliere, cacciare, ripararci, bere; cominciammo a fermarci in altri luoghi perché attratti da una presenza spirituale che lì si manifestava e mutava il paesaggio. Lo spazio divenne qualità. Da quel momento non ci bastò più mangiare, ripararci, bere e riprodurci. Non ci bastò più camminare sulla traccia del cervo. Volevamo conoscere il mistero della cerva e dei suoi percorsi, scoprire dove finivano dopo la morte coloro che amavamo, sapere chi muoveva il sole e le altre stelle. Iniziammo a fare domande nuove alle cose, e così cominciammo a vedere gli dèi. Il mondo cambiò per sempre, si riempì di parole mute, di linguaggi nuovi, di simboli. Tra di noi parlavamo lingue elementari, erano sufficienti per coordinarci alla caccia e allevare i bambini. Ma imparammo lingue nuove per parlare con la natura, con i demoni e con gli angeli – molte, quasi tutte le abbiamo dimenticate mentre rendevamo potente il linguaggio inter-umano, perché quelle altre lingue potevano vivere solo sulla debolezza della nostra. Oggi camminiamo come il viandante, il pellegrino. Rover e Scolta, donne e uomini di frontiera. Ma siamo veramente donne e uomini di frontiera?